Prima Parte
Benché la comunicazione con gli esseri disincarnati non sia troppo largamente praticata nei Paesi industrializzati, essa ha di fatto occupato un posto di tutto rilievo in seno all’evoluzione umana di cui si abbia conoscenza. Fin dai tempi più remoti, i popoli hanno ricercato informazioni e consigli presso quanti vivono “dall’altra parte”. Leggi tutto
Ricordo bene il giorno in cui attraversai le vaste distese della Grande Prateria, a testa alta, le piume del copricapo ondeggianti al vento. I soldati videro soltanto la mia figura che si stagliava contro il cielo. Mi avvicinai lentamente, le braccia scostate dal corpo ed i palmi delle mani rivolti verso di loro, in segno di pace. Osservavo le ondate d’amore che si sprigionavano dalle mie mani e che avevano tutta la forza dell’amore da me espresso prima e dopo il Golgota. Leggi Tutto
Noi siamo il Popolo degli Uccelli, il Clan Solare, i Figli delle Stelle. I miti africani relativi alla creazione dell’universo ricordano la nostra esistenza, gli aborigeni australiani ci onorano e le tradizioni popolari di tutti i popoli della Terra evocano la nostra presenza: siamo la fonte di ogni natività, la maniera in cui la creatività dello spirito si manifesta in questo mondo ed in tutti i mondi superiori. Individualizzati ed intelligenti, in virtù della nostra natura spirituale, rappresentiamo l’influenza tangibile attraverso la quale un Creatore onnipotente opera l’unione con un mondo materiale. Leggi Tutto
Nonostante la ribellione delle razze guerriere, alcuni popoli continuarono ad opporsi all’idea di ricacciare i loro spiriti stellari. Attorno ai fuochi, durante le riunioni dei consigli, rappresentavamo ciascuna delle tribù rimaste fedeli attraverso un piccolo cerchio tracciato sulla sabbia, ed intorno a questi Custodi dei Cerchi di Luce disegnavamo poi un’ampia circonferenza, simbolo del Grande Spirito che tutti li racchiudeva. Tra noi ci riconoscevamo col nome di “Ongwhehonwhe”, che significa “il popolo fedele alla realtà”. Leggi Tutto
Veniamo designati con numerosi appellativi. Siamo stati chiamati angeli, Popolo degli Uccelli, Sé Superiori, Hoksedas, Spiriti delle Stelle. Ma la realtà della nostra natura supera il significato evocato da una semplice parola. noi siamo le innumerevoli proiezioni dell’Eterno Uno, siamo spiriti destinati a fondersi negli esseri umani di oggi. Attualmente voi credete di essere il vostro ego, ma quest’ultimo rappresenta solo una metà dell’equazione umana. Un uomo completo è una stretta alleanza di spirito ed ego. Leggi Tutto
Veniva dalle stelle. Numerose furono le tribù che ricevettero la sua visita, ed ognuna di esse la chiamava con un diverso nome. Ora potete immaginarla così come apparve a due cacciatori sioux che stavano camminando a piedi nudi lungo le pendici ondulate delle colline che costellavano la grande prateria. Leggi Tutto
La nostra visione originale lasciava intendere che i popoli americani avrebbero mantenuto la loro integrità. Se tale visione si fosse realizzata, gli scambi tra americani ed europei sarebbero stati di natura strettamente educativa, ed i popoli d’America avrebbero svolto il ruolo di maestri e di guaritori, per guidare consapevolmente le razze guerriere fuori dalle tenebre. Leggi Tutto
Erano ormai alcune settimane che vivevo con i Mohawk. Fin dal mio arrivo, essi avevano tollerato la mia presenza con riluttanza, considerandomi uno straniero dai modi schietti, venuto dal nord, ma da quel momento in poi, non avrei nemmeno più avuto diritto a quella fredda accoglienza. Leggi Tutto
Come avevo sperato, il Popolo della Selce fu il primo ad accettare di appartenere ad una confederazione tribale, a patto che potessi farmi garante della buona volontà delle altre nazioni irochesi. Leggi Tutto
La visione che mi era apparsa in una notte stellata di cinque inverni prima diventava ora realtà. L’anno precedente avevo visto la quinta nazione, quella dei Seneca, aderire alla pace, ed i principali rappresentanti delle cinque tribù irochesi erano stati adesso convocati allo scopo di istituire ufficialmente la lega. Leggi Tutto
In quell’assembramento di cacciatori e guerrieri, accadde poi qualcosa di assai particolare. Più tardi, alcuni dissero che si era prodotto un miracolo, tuttavia i testimoni della scena non ci trovarono nulla di anormale. In realtà, la nostra dimostrazione non fu che passeggera, tanto il fatto ci parve naturale ed attinente al racconto di Hiawatha. Leggi Tutto
La pace regnò dunque nelle foreste dell’America del Nord durante la luna delle Oche Dirette a Sud, l’anno in cui piantammo l’Albero dalle Grandi e Lunghe Foglie, undici secoli dopo le attività che avevamo condotto in Galilea. Col tempo, i Tuscarora si unirono alla Confederazione, che divenne allora quel gruppo di sei nazioni menzionato dalla storia. Col passare degli anni, decine di altre tribù e nazioni poterono beneficiare della pace diffusa da questa potente alleanza: la Lega degli Irochesi ebbe un impatto su tribù lontane, come quelle degli Osage e degli Omaha, e partecipò attivamente alla diffusione della saggezza del Cerchio Sacro e della pace che da esso procede, così come l’estate procede dalla primavera. Leggi Tutto
Ascoltate, esseri umani che vivete oggi; prestate orecchio, così come la femmina del passero è attenta al richiamo del suo innamorato portato dal vento. Ci rivolgiamo a voi nei vostri sogni, in alcuni frammenti di canzone che udite distrattamente, vi parliamo per bocca dei bambini, attraverso le pagine di questo libro. Ma più ancora, vi parliamo dal più profondo del vostro essere. Ascoltateci e rammentate chi siete. Leggi Tutto
Seconda Parte
La Mente Serpentina Si libera Dai rami della confusione Dischiude la propria conoscenza per salutare l’alba. Leggi tutto
Dietro i venti leggeri che bisbigliano tra le cime degli alberi, delle energie pure e delicate penetrano pulsando nel vostro mondo. Esse provengono dai livelli spirituali, da un livello di energia per voi invisibile, ma non per questo meno reale di tutto ciò che potete toccare o sentire. Leggi Tutto
Il nostro compito è quello di popolare un universo materiale di creature in grado di esprimere l’equilibrio tra le polarità stellari e planetarie. Abbiamo bisogno di esseri che abbiano una sostanza – carne ed ossa, ali, pelliccia, squame, occhi! – esseri sensibili ai suoni ed alla luce. Vogliamo abitare forme fatte di terra e di luce celeste. Siamo interessati agli uomini: gli artisti, i creativi, gli innamorati che celebrano gli elementi intonando un canto alla Vita. Leggi Tutto
La storia dell’umanità ha costituito una rappresentazione incompleta e parziale dell’universo, una creazione dell’immaginazione umana basata sull’osservazione di esseri che non sono in grado di captare le frequenze energetiche più sottili, laddove i disegni perfetti del mondo spirituale si dispiegano in tutta la loro evidenza. Leggi Tutto
Noi, gli esseri del Popolo Alato, giungiamo in quest’epoca non per materializzarci soltanto, ma per incarnarci. Oggi torniamo su un’onda di luce, animati da una pulsazione di nuova intensità. Abbiamo la capacità di materializzarci attirando gli atomi e le molecole all’interno dei nostri campi luminosi, ma non siamo qui per questo. Cerchiamo di incarnarci in esseri umani particolari, i cui corpi attuali si siano sviluppati da feti formati sui modelli vibratori della nostra luce. Leggi Tutto
Quando studiate nella sua pura essenza la natura della bellezza che sta dietro la perfezione del maschile e del femminile, trovate Dio. Giacché alla fonte, al centro, nel cuore di tutto ciò che è femminile si trova Dio, e nel cuore, al centro, alla fonte di tutto ciò che è maschile si trova Dio: lo stesso Dio, l’Uno, il Grande Spirito; e questa è la natura di Dio. Leggi Tutto
Il concepimento di una vita nuova esige un’intenzione creatrice fortemente concentrata: richiede un’attenzione così profonda e precisa nei confronti dei dettagli, che se questa concentrazione dovesse disperdersi contemporaneamente tra molteplici cellule, il miracolo del concepimento non potrebbe avvenire. Leggi Tutto
La giornata volgeva al termine. Penetrai nella penombra della capanna e sedetti a gambe incrociate in un cerchio di persone mezze nude. Leggi Tutto
Quando ebbe termine la cerimonia della Capanna del Bagno di Vapore, che aveva ridestato in me il ricordo del Cerchio dei Fedeli delle Stelle, mi trovai in uno stato di consapevolezza pura, non verbale. Leggi Tutto
Cap.VII – Tra i membri della Tribù Ganienkehaga
«Chi è dunque quest’Urone che si permette di venire qui e di predicare al nostro popolo? – esclamò il vecchio guerriero – La sua tribù ha forse messo in pratica i suoi insegnamenti? Quando il suo popolo l’avrà fatto, e quando la pace sarà ristabilita tra le tribù che vivono a nord del mare interno, torni e forse allora lo ascolteremo. Per adesso, le sue sono soltanto vuote parole. Tornatene con esse da dove sei venuto, Urone. Ormai, non sei più il benvenuto tra noi. Le tue non sono parole di pace, ma parole pericolose che seminano confusione nella mente dei miei giovani guerrieri.»
Senza dire una parola, lasciai il consiglio riunito intorno al fuoco.
Erano ormai alcune settimane che vivevo con i Mohawk. Fin dal mio arrivo, essi avevano tollerato la mia presenza con riluttanza, considerandomi uno straniero dai modi schietti, venuto dal nord, ma da quel momento in poi, non avrei nemmeno più avuto diritto a quella fredda accoglienza.
Durante le lunghe serate all’inizio della primavera, avevo evocato l’inutile tragedia causata dalle guerre intertribali e, intorno al fuoco, avevo esposto la mia visione di un’unione tra i popoli Mohawk, Oneida, Onondaga, Cayuga e Seneca, cementata da un accordo di pace.
Nelle ultime settimane, tuttavia, la mia presenza aveva riportato alla superficie molte cose, non ultima una crescente contestazione. L’opinione dei Ganienkehaga in merito alla saggezza dei miei intenti era divisa: una minoranza, prestando fede alla veridicità dei miei propositi, entrò appassionatamente in conflitto con i guerrieri più anziani, che avevano accolto ognuna delle mie parole con molto sospetto.
Mi sarebbe stato forse accordato più tempo per esporre il mio punto di vista se, tra i Mohawk, non fosse stato a quell’epoca presente uno sgradevole giovane di nome Ayawentha. Originario di una tribù vicina, quella degli Onandaga, egli si trovava in visita presso i Mohawk e, senza un’apparente ragione, sembrava non apprezzare affatto il mio arrivo. Intriso di odio e facile alla collera, si opponeva violentemente a tutti i miei argomenti in favore della creazione di una confederazione unita. Aveva fatto notare ai Mohawk come la mia presenza tra loro fosse di per se stessa fonte di divisione e di conflitto, e come, camuffato dietro al mio messaggio di pace, avessi invece diffuso la disarmonia nella loro tribù, seminando il disaccordo e la confusione. Ayawentha – o Hiawatha, come veniva spesso chiamato – aveva sostenuto che questo era il mio obiettivo e la mia intenzione, e che le mie parole di pace non erano che un imbroglio.
Quella notte dormii solo, lontano dall’accampamento. Faceva più caldo. L’aria si era fatta afosa, foriera di temporali, e potevo sentire l’odore della pioggia concentrata nelle nuvole. A tarda notte, contemplai la volta scura e nuvolosa che mi sovrastava, riflettendo al successivo passo che avrei dovuto intraprendere. Solo una volta, e per un breve istante, riuscii a scorgere le stelle, ed al mio tardivo risveglio non ero ancora giunto ad alcuna decisione. Dopo aver camminato per parecchi chilometri attraverso una regione nota per l’abbondanza di cervi, le nuvole nere si accumularono in cielo. Il temporale era ormai prossimo.
A metà pomeriggio, mentre cacciavo sull’orlo di una profonda gola, ero acquattato sui rami di una grande quercia morente che sovrastava il letto di un ruscello primaverile che scorreva trenta metri più in basso. Da quella postazione elevata, il mio sguardo poteva spaziare tutt’intorno per circa due chilometri: speravo di poter in tal modo localizzare il branco di cervi dalla Coda Bianca le cui tracce mi avevano condotto fino lì. La discussione di quella sera, pensai, sarebbe stata più facile se avessi portato della selvaggina da dividere con la tribù, giacché intendevo proseguire nella mia missione. Non avrei permesso che qualche parola dura pronunciata contro di me mi distogliesse dagli scopi di tutta una vita.
Fui sorpreso nell’udire dietro di me degli uomini che si avvicinavano nella foresta. Scorsi solo un punto lontano, ma il fruscio delle foglie mi fece pensare che si trattasse di un gruppo numeroso. Due guerrieri corsero in avanscoperta e con le frecce mi fecero cenno di non muovermi. Come ebbi modo di scoprire nel corso delle ore successive, Hiawatha aveva approfittato della mia assenza per aizzare i principali guerrieri della nazione Mohawk, compreso il capo ed i suoi consiglieri più fidati. Insieme, si erano messi in cammino nell’intento di uccidermi, di sbarazzarsi di quell’uomo ormai divenuto ai loro occhi un nemico.
Non appena gli uomini si furono riuniti vicino agli alberi, sull’orlo della gola, mi lanciarono una serie di violente invettive, accusandomi di essere una pia degli Uroni, inviata per seminare la discordia nella tribù. Ascoltai, dapprima pazientemente, poi il mio spirito si scosse e, ignorando l’ordine dei due giovani con le frecce puntate contro di me, mi misi in piedi sulla biforcazione centrale dell’albero, sostenuto dai rami contorti e morenti: mostrai a quegli uomini che, malgrado le loro rivendicazioni di pace, erano così diffidenti, sospettosi e poco disposti a fidarsi delle tribù vicine che con la loro stessa paura non facevano che crearsi nemici. Presi il mio caso come esempio, quello di un uomo venuto con intenzioni pacifiche ed amichevoli, ma che ora sentiva calare su di sé una tale diffidenza ed un’accusa talmente ingiusta che chiunque al suo posto sarebbe diventato un loro nemico. Spiegai come le loro paure ed i loro sospetti avessero trasformato molte delle tribù vicine in loro nemiche, mentre esse erano in realtà animate dalla stessa volontà di pace dei Mohawk.
«Guardate! – dissi loro, additando la base del tronco. – Riesco a vedere il vostro odio, la vostra paura. Riuscite anche voi a vederla? La sento crepitare nell’aria!» In quel preciso istante, le nuvole nere che si erano poco per volta accumulate sopra di noi esplosero all’improvviso: un assordante rombo di tuono scosse l’albero sotto di me, e il fulmine si abbatté in una lingua biforcuta e crepitante che danzava pericolosamente sul terreno, nel luogo stesso da me indicato.
«Guardate! – Ripresi nella pausa che seguì. – Esso si sprigiona dal vostro gruppo, sale lungo il tronco di quest’albero deforme e, come le sue braccia nodose e morenti, si ramifica in mille fragili ramoscelli. L’idea che vi domina, secondo la quale la guerra tra le tribù è una necessità, è falsa; è un’idea deforme e precariamente radicata come quest’albero, ormai morente sull’orlo del precipizio.
Voi credete nella guerra come modo di vita. Questa convinzione non solo vi separa dalle altre tribù, come i rami nodosi di questo albero si separano dal tronco, ma vi allontana dalla vostra stessa famiglia, dal vostro focolare, da tutte le cose a voi care. Ed ogni giorno trascorso a combattere non fa che confermarvi la verità delle mie parole. La vostra sicurezza aumenta forse quando prestate fede a questa mostruosa menzogna? No! Il concetto stesso di guerra vi separa gli uni dagli altri, poiché esso favorisce l’esistenza di valori e di comportamenti che non contribuiscono in alcuna misura ad instaurare l’amicizia tra i guerrieri e la pace nei villaggi, né a comporre canti gioiosi da intonare intorno ai fuochi sacri.
La menzogna alla quale prestate fede è come un albero che sta per morire, un albero che non fornisce conforto, né combustibile né ombra, un albero che mina la forza e falsa i valori di quanti si trovano prigionieri nel groviglio dei suoi numerosi rami contorti. Se continuate a vivere sui fondamenti fallaci di questo Albero della Guerra, scoprirete, proprio come il giovane Hiawatha qui presente, le devastazioni della guerra nel profondo del vostro cuore. Fintantoché, come Hiawatha, rimarrete separati da questa pace interiore alla quale i popoli fedeli alla Realtà hanno diritto fin dalla nascita, la vostra anima sarà dilaniata dai conflitti.
Come sapete, io non sono un Mohawk. Ma sappiate anche che non sono neppure l’Urone che vedete di fronte a voi: io vengo dalla tribù del Popolo della Realtà, sono un Ongwhehonwhe, e rappresento gli Invisibili, gli Esseri Alati del Cielo. Essi sono con me in questo preciso istante. Il mio corpo è animato dall’alito del loro spirito e la mia voce è veicolo della loro potenza; insieme, noi preghiamo per voi, affinché vi ridestiate all’amore per tutto ciò che è sacro ed autentico, amiate le vostre famiglie, i vostri figli e nipoti, abbandoniate questo ingannevole Albero della Guerra ed usiate le armi contro i vostri simili solo in caso di legittima difesa. Trasferite i vostri villaggi sotto i rami dell’Albero della Pace. Popolo Mohawk, se l’onore per voi ha una qualche importanza, se volete la verità, se sperate che i vostri figli crescano sani ed integri, allora sradicate dai vostri cuori questo albero di violenza.»
«Benissimo! Noi sradicheremo dai nostri cuori questo albero di violenza! – tuonò Hiawatha incollerito. – L’abbatteremo qui e subito, ed insieme ai suoi rami anche tu cadrai nel burrone, dove gli avvoltoi, i lupi e le pantere godranno del magro banchetto che il tuo cadavere può loro offrire!»
Un mormorio di assenso si levò dai guerrieri intorno a lui. Un capo anziano levò la mano per imporre il silenzio e prendere la parola. «Deganawida – disse – ti sei servito di quest’albero per dire, a noi che siamo superiori a te, ciò che dobbiamo fare della nostra vita. Non abbiamo bisogno delle tue istruzioni: scegliamo da soli ciò che vogliamo conservare e ciò che vogliamo eliminare dalla nostra esistenza, e ritengo che questa volta il giovane Hiawatha abbia parlato con saggezza. Abbatteremo davvero questo albero – disse, scuro in volto. – Tu ed i tuoi propositi che seminano la discordia sparirete con esso in fondo al precipizio, dal quale non potrai più venire a turbare il mio popolo.»
Con toni secchi, egli ordinò ad alcuni guerrieri di iniziare l’abbattimento. Ma prima che potessero accennare ad un gesto, estrassi il mio tomahawk dalla cintura, più veloce di un fulmine.
Puntandolo verso le nuvole nere che ci sovrastavano, lanciai un grido così feroce e spaventoso che alcuni Mohawk credettero che avessi io stesso ordinato al cielo di lacerarsi ed alla pioggia torrenziale di abbattersi con furore.
Gridai per farmi udire in mezzo al fragore della pioggia e del vento: «No, guerrieri Mohawk! Io stesso ho affermato che l’Albero della Guerra doveva essere sradicato dalle vostre esistenze ed io stesso abbatterò l’albero che mi trascinerà nel burrone. Il mio gesto costituirà per voi l’insegnamento che le mie parole non hanno saputo trasmettervi. Nessun uomo dovrebbe mai temere di eliminare la menzogna dalla propria vita, quand’anche essa ne fosse il sostegno. Una volta identificata la menzogna, egli non dovrebbe provare alcuna paura nel lasciarla svanire, giacché fare affidamento su di essa, pur essendo consapevoli di commettere un errore, significa rinunciare alla pace ed alla gioia future. E non serve a nulla vivere se queste sono le radici che vi sostengono.»
Con feroce accanimento, mi accinsi a tagliare il tronco dell’albero sul quale ero appollaiato. Sbalorditi, i Mohawk osservavano la scena in silenzio, mentre la pioggia cadeva a dirotto. La passione del combattimento si stava impadronendo di me, maneggiavo la mia arma senza sosta, assestando colpi violenti che intaccavano sempre più in profondità la scura corteccia dell’albero.
Trascorse quasi un’ora, ritmata soltanto dallo scrosciare della pioggia e dal rumore del mio tomahawk contro il legno.
Non dissi una parola fino a che il tronco fu ridotto ad un esile moncone. Sapevo che uno o due colpi sarebbero bastati ad abbatterlo. Poi, per la prima volta da quando il mio furore era esploso, mi alzai: questa volta, lessi una diversa espressione sui visi dei presenti. Essi rispettavano e capivano l’atto che avevo compiuto.
Come qualsiasi essere che sintonizzi le proprie intenzioni su quelle del Grande Spirito, il momento che avevo scelto per agire era perfettamente sincronizzato con il mondo naturale. Infatti, nel momento stesso in cui mi alzai, il sole fece capolino da dietro le nuvole ed un arcobaleno splendente sovrastò la valle. Additai il cerchio del disco solare e quello dell’orizzonte. Evocai i numerosi cerchi presenti in natura e spiegai come i cicli lunari, i cicli degli astri nel cielo notturno, l’avvicendarsi delle stagioni, e la maturazione dei frutti nei vigneti, l’occhio franco e aperto, fossero tutti cerchi.
«La verità è meravigliosa – dissi loro – ed è paragonabile ad un cerchio. Tuttavia, l’arcobaleno alle mie spalle non è un cerchio, bensì un semicerchio. Esso è costituito da cinque tribù di luce colorata che risplendono insieme, in armonia. Oggi viene a rammentare alle nazioni ed alle tribù irochesi che dobbiamo completare questo cerchio nella e tramite la nostra vita, vivendo in armonia con la Terra, le sue creature e con le leggi della natura, ed in pace con le altre nazioni. Ogni tribù è simile ad uno dei colori di questo arcobaleno. Riuscite a vedere il punto in cui i colori si toccano e si fondono? Lì avvengono gli scambi tra le tribù che vivono in pace. Quando i popoli rispettano la via del Grande Spirito, nuovi colori, ancora più straordinari, possono nascere. Dalla loro comunicazione ha origine l’abbondanza. Questo arcobaleno ci è stato donato affinché non dimenticassimo di dover diventare delle tribù in grado di vivere insieme in armonia sulla Terra. Questo arcobaleno è la metà di un cerchio, ed è nei nostri cuori che dobbiamo costruire la metà mancante.
Colui che onora gli insegnamenti del Grande Spirito non può far posto in cuor suo alla violenza, a meno che non venga attaccato e debba difendere la propria vita. Eliminate questo errore dal vostra esistenza, così come ora strapperò questo albero dalle sue marce radici.»
A tali parole, feci un salto e ricaddi con tutto il mio peso sulla parte dell’albero che sporgeva a strapiombo sul burrone. Con uno spaventoso scricchiolio, la quercia ruppe i legami che la tenevano ancorata alla parete rocciosa e, aggrappato ai suoi rami, la accompagnai nel vuoto. Il terreno era trenta metri più in basso, ed è vero che non mi ero preoccupato di sapere in anticipo se sarei morto o se mi sarei salvato. La mia vita, pensavo, aveva trovato una giustificazione sufficiente nell’occasione che mi era stata offerta di impartire questo insegnamento. Il fatto di sapere se sarei morto o vissuto in quel corpo aveva poca importanza, giacché sapevo che i Mohawk sarebbero stati più pacifici dopo ciò a cui avevano assistito. Saldamente aggrappato ai rami, provai solo gratitudine per questo istante che mi colmava di felicità.
La caduta della quercia venne arrestata dai rami superiori dei numerosi alberi che crescevano ravvicinati in fondo al burrone. L’impatto mi fece mollare la presa, ma una serie di rami attutì la mia caduta; in realtà, mi sembrava che quei rami fossero le mani del Grande Spirito che mi accoglieva nel suo amore. Quando toccai terra, avevo soltanto qualche graffio ed alcune contusioni, e un sentimento di trionfo nel cuore.
Mentre facevo il periplo del canyon per percorrere la ventina di chilometri che mi separava dall’accampamento mohawk, la provvidenza pose sul mio cammino un bel cervo che terminò il proprio viaggio sulle mie spalle; al calar del sole, giunsi al villaggio con la mia preda.
Qui, notai che i Mohawk erano taciturni. Posai a terra il cervo, nei pressi del fuoco, per far capire alla tribù che si trattava di un regalo. Attesi in piedi alcuni istanti, senza dire una parola. Quando un capo piuttosto anziano, lo stesso che nel pomeriggio aveva sancito la mia condanna a morte, mi fece cenno di sedere, capii che la loro resistenza si era in gran parte dissolta. Durante il banchetto che seguì, la mia convinzione trovò conferma: i Mohawk erano ormai disposti ad ascoltare il mio messaggio.
Tuttavia, tra tutti i membri del Popolo della Selce, nessuno fu toccato così profondamente come il giovane Hiawatha, della tribù degli Onondaga. La trasformazione ch’egli stava vivendo era paragonabile al passaggio dalle tenebre alla luce.